giovedì 27 novembre 2014

Pane di farro con semi di girasole

Io leggo moltissimo, ma non mi posso considerare una buona lettrice. Leggo pochissimi romanzi e quei pochi che leggo in genere non sono premi Nobel o cose difficili e impegnate perché non mi piace leggere di vite tragiche, esistenze al margine e atmosfere squallide. Non so perché, ma spesso quella che viene premiata come ‘letteratura vera’ è un racconto tormentoso e angosciante. Preferisco allora i classici dei secoli passati (che a mio parere descrivevano i problemi dell’esistenza umana con più grazia, se così posso dire) o i romanzi lievi e inutili a lieto fine. La vita a volte è già tanto complicata di suo che non ho voglia di immergermi in un libro che mi parla solo di altri problemi e tragedie varie. Lo so, è un atteggiamento immaturo irrazionale e si possono aggiungere altri aggettivi a volontà, ma io la vedo così.
Ed è così che scrivo questo blog che è nato per divertimento, perché mi piace cucinare, fare foto e scrivere di cose leggere. Così parlo di pranzi con le amiche, di pomeriggi dedicati a tè e chiacchiere, di fine settimana alla ricerca di posti carini dove assaggiare qualcosa di nuovo e di buono, di ricordi di quando ero piccola.
Ma la vita non è tutta qui (magari!), anzi come dice un amico di famiglia, questo è il lato ‘ludico’ della vita. E poi c’è quello che non è affatto ludico, delusioni, dispiaceri, progetti di vita che non vanno avanti e sogni che vogliono diventare realtà e fanno un passo avanti e due indietro. E ancora peggio: vedere persone alle quali voglio bene soffrire delusioni e dispiaceri è del tutto inaccettabile. E l’unica cosa che riesco a fare in giornate grige e malinconiche è impastare perché trovo che coccolare un impasto di acqua e farina tra le mani abbia un magico potere rilassante. Lascio cadere questa considerazione nell’etere (si dice così no?) e metto di seguito la ricetta di questo pane che faccio per la colazione. A me piace perché ha la crosta croccante e la mollica soffice arricchita dal gusto delicato dei semi di girasole sparsi qua e là in ogni fettina. E non perdetevi il profumo appena sfornato, dovuto – penso – soprattutto al gusto gentile della farina di farro.
E’ buono leggermente tostato e spalmato di marmellata accanto ad una tazza di caffè nero e forte; è adatto anche ad accompagnare salumi e formaggi cremosi per una cena improvvisata con gli amici il sabato sera. In questo caso è indispensabile una bottiglia di ottimo vino rosso.



PANE DI FARRO CON SEMI DI GIRASOLE




Ingredienti per una pagnotta:

250 gr di farina di farro
150 gr di farina di kamut
100 gr di farina 00
30 gr di semi di girasole decorticati
5 gr di malto diastatico
7 gr di lievito di birra fresco
300 gr di acqua (potrebbe non servire tutta)
10 gr di sale fino

Per la finitura:
una manciata di semola rimacinata di grano duro
una manciata di farina 00

Sciogli il lievito in 150 gr di acqua tolta dal totale dell’acqua necessaria e lascia riposare dieci minuti.
In una ciotola capiente (in quella della planetaria, se la usi) mescola le tre farine e il malto.
Unisci il composto di acqua e lievito alle farine e inizia a impastare prima con una forchetta, poi a mano aggiungendo gradualmente tutta l’acqua necessaria ad ottenere un impasto morbido ma lavorabile (potrebbero non servirti tutti i 300 gr di acqua, dipende da quanta ne assorbe la farina e le farine sono tutte un po’ diverse).
Impasta a mano per una quindicina di minuti aggiungendo dopo 10 minuti il sale, se usi una planetaria è necessaria la metà del tempo (aggiungi il sale appena l’impasto inizia ad incordare). Devi ottenere una pasta liscia e morbida. Da ultimo aggiungi i semi di girasole decorticati, impasta ancora rapidamente e forma una palla.
Metti a lievitare la pasta in una ciotola appena unta di olio e copri con pellicola alimentare.
Lasica lievitare fino al raddoppio, con questa dose di lievito ho impiegato due ore di tempo.
Quando è la pasta lievitata, rovesciala su un piano cosparso di semola rimacinata, dai alla pagnotta la forma che preferisci e mettila su una teglia che possa andare in forno foderata di carta da forno. 
Cospargi la superficie della pagnotta con un velo di farina 00 e lascia lievitare ancora, coperto da un canovaccio pulito, per 45 minuti.
Trascorsi 30 minuti dalla seconda lievitazione, accendi il forno a 200 gradi.
Inforna il pane in forno già caldo e cuoci per 35/40 minuti (se la pagnotta inizia a scurirsi troppo dopo 15 minuti copri la superficie con un foglio di carta di alluminio).
Estrai dal forno, togli la pagnotta dalla teglia e lasciala raffreddare su una gratella da pasticceria.


EASY: Per colazione, appena tostato e spalmato con pochissimo burro – se piace – e marmellata oppure in versione molto golosa domenicale con la crema di cioccolato.



CHIC: taglialo a fette e poi ogni fetta in quadrotti. Falli saltare in una padella antiaderente con un filo di olio, poco sale macinato al momento e un pizzico di origano. Utilizzali come accompagnamento per una crema di verdure servita come primo piatto.

giovedì 20 novembre 2014

Minestra invernale con spaghetti integrali ispirazione ramen

Quando vado a Milano per lavoro ho un appuntamento fisso, la pausa pranzo con le mie amiche. Abbiamo a disposizione al massimo 45 minuti e abbiamo imparato ad utilizzarli molto bene, in modo che sia possibile mangiare qualcosa di gustoso e fare tantissime chiacchiere in libertà. Non andiamo mai oltre il tempo limite, ma riusciamo a sederci con calma, gustare un pranzo leggero e sembrare ‘vere signore’ che non abbiano niente altro da fare se non...passare il tempo piacevolmente. Come se dopo il pranzo ci attendesse un pomeriggio lieve da trascorrere a curiosare nelle librerie o tra le ciotoline di Zara Home. Invece ognuna di noi deve ritornare nel delirio semi assurdo del proprio lavoro.
La scelta del posto dove pranzare varia a seconda della stagione e .. dell’umore. Ci sono giornate in cui il caos da sovraffollamento di certi posti – carinissimi si, ma assaltati - proprio non si sopporta. La regola da rispettare sempre è una sola: niente panino al volo.
In estate il nostro pranzo preferito (ne parlerò un’altra volta perché lo merita) è in genere una porzione gigante di yogurt molto cremoso accompagnato da frutta fresca, nocciole, mandorle e muesli, oppure una fetta di torta con un caffè lungo tipo americano nel giardino minuscolo e silenzioso di una caffetteria.
In questa stagione preferiamo stare al chiuso e poter scegliere sul menu qualcosa di caldo. La settimana scorsa ci siamo ritrovate in tre, io, la Principessa (ne ho parlato qui) e un’altra nostra amica che da anni dice che prima o poi lascia tutto e va nel Luberon a coltivare erbe aromatiche e confezionare marmellate biologiche. Ha intenzione – dice – di trascorrere il resto della vita in jeans, stivali Hunter di gomma e maglioni a collo alto in inverno, sandali e polo in estate. Nessuno ci crede. Nel frattempo vive nel cuore di Milano, ha una cucina ipertecnologica dove io non saprei nemmeno accendere la luce ed è sempre informata sull’ultima moda o fissazione del momento. L’ultima volta ci ha portato a mangiare il ramen ovvero noodles serviti in un brodo di carne o verdura delicatamente aromatizzato accompagnati da altri, vari, ingredienti. L’ultima moda di cucina giapponese dopo il sushi – ma questo lo sapevo anche io perché l’ho letto su Elle a tavola.
E’ stato un attimo lasciarsi conquistare dall’atmosfera ovattata del locale, dalle ciotoline laccate nelle quali ci hanno servito il ramen che era caldo, delicatamente profumato e con un sapore .. sottile quanto il suo profumo. Fuori diluviava e per quasi un’ora siamo rimaste sedute in questo angolo di silenzio con davanti una zuppa fumante e tazzine di tè verde aromatizzato ai fiori di ciliegio. Da non voler uscire più. In poche parole il ramen mi ha affascinato.
Ho avuto una mezza idea di provare a rifarlo a casa – io avevo scelto una versione vegetariana senza troppe complicazioni- ma nel negozio dove sono andata tutti gli ingredienti ‘esotici’ di cui avevo bisogno erano ‘made in China’. Così ci ho rinunciato e ho optato per una versione molto casalinga e mediterranea di zuppa con spaghetti integrali. Lo so, sembra stranissimo utilizzare come pasta nella zuppa una manciata di spaghetti integrali – da non spezzare e lasciare rigorosamente interi, ma provare per credere: il risultato anche se difficilissimo da mangiare in modo civile, è delizioso. Del resto la mia mamma mi racconta sempre che mio nonno adorava mettere gli spaghetti nella minestra, quindi non so stabilire se questa ricetta derivi dal fascino del ramen o dai geni che si tramandano si tramandano si tramandano.

P.S. In genere non amo i surgelati, ma per i piselli faccio un’eccezione. Ne sgrano a chili in estate e li conservo per l’inverno. Se non vi piace l’idea di usare i surgelati, i piselli si possono sostituire con fagiolini tagliati a tocchetti come le altre verdure.
Per fare le minestre di verdura io di solito parto rosolando porro o cipolla e aggiungendo poi uno alla volta gli altri ingredienti ognuno con un pizzico di sale. Aggiungo il brodo – il mio è solo lievemente salato -  solo alla fine, ma ognuno può seguire la tecnica che preferisce.


MINESTRA INVERNALE CON SPAGHETTI INTEGRALI




Ingredienti per quattro persone (anche se le dosi della verdura sono indicative, dosatele come preferite):

1 porro
2 grosse rape
2 patate rosse
10 zucchine lunghe (piccole)
una manciata di pisellini surgelati o congelati home made
100 gr di spaghetti integrali
700 ml di brodo vegetale
Olio extra vergine di oliva
Sale

Affetta il porro molto sottile.
Taglia tutte le altre verdure a tocchetti di dimensioni simili (anche le zucchine devono essere tagliate in cubetti, non a fettine).
Lascia le verdure così affettate separate le une dalle altre perché andranno aggiunte un tipo alla volta.
Metti il porro a insaporire in una capace pentola con 4 cucchiai di olio extravergine di oliva 2 cucchiai di acqua e un pizzico di sale.
Lascialo stufare a fiamma bassissima.
Quando è diventato morbido, aggiungi le rape tagliate, un altro pizzico di sale e lascia insaporire qualche minuto sempre a fiamma bassa, girando con un mestolo di legno (le verdure non devono attaccare, se necessario aggiungi un cucchiaio di acqua calda).
Prosegui aggiungendo nell’ordine le patate, le zucchine e da ultimo i piselli. Ogni volta che inserisci una verdura nuova aggiungi un pizzico di sale e fai insaporire qualche minuto prima di inserire la successiva.
Quando tutte le verdure sono nella pentola aggiungi il brodo vegetale a coprire tutte le verdure (potrebbe non servirti tutto, dipende dai gusti, a me questa zuppa piace quando il brodo è abbondante).
Lascia cuocere a fiamma bassa per 40 minuti.

Nel frattempo metti a bollire una pentola con l’acqua nella quale cuocerai gli spaghetti.
Quando mancano 15 minuti alla fine di cottura della zuppa, cuoci gli spaghetti nell’acqua bollente leggermente salata.
Scolali piuttosto al dente e mettili all’interno della zuppa con la quale finiranno di cuocere gli ultimi tre/quattro minuti.
Aggiusta di sale se necessario e servi la zuppa ben calda.




EASY: lascia perdere l’ispirazione ramen e servi questa zuppa a cena come primo piatto in una vera fondina con parmigiano, se piace. Se vuoi, puoi sostituire gli spaghetti con farro perlato.





CHIC: ispirazione finto-giapponese per una cena a due: servi la zuppa in una ciotolina laccata o semplice gres smaltato, accompagnala con bocconcini di riso e verdure e tè verde.


giovedì 13 novembre 2014

Piccoli Castagnacci

Mia nonna il castagnaccio lo faceva tutti gli anni. Iniziava verso la fine di ottobre e andava avanti fino a fine novembre interrompendo ‘la produzione’ solo per i giorni dei Santi per fare un altro dolce della tradizione, il Pan co’ Santi. Arrivavamo dai nonni il sabato pomeriggio e il castagnaccio era lì, sul carrello in sala da pranzo accanto alla scatola di latta tutta decorata che era sempre piena di biscotti e ‘spumini’, meringhe che lei faceva in continuazione battendo gli albumi con lo zucchero rigorosamente a mano - con un’invidiabile energia da ventenne – e che cuoceva per ore in quella che chiamava ‘cucina economica’.
Per essere la cucina di una casa di città quella di mia nonna era davvero grandissima (vorrei averla io qui una cucina così, mi basterebbe anche la metà dello spazio!). C’era posto per un camino vero e funzionante anche se purtroppo veniva acceso solo in poche occasioni – noi bambini andavamo matti per il fuoco scoppiettante e in autunno chiedevamo di cuocere le caldarroste sul camino, ma ci accontentavano raramente, un piano cottura decisamente moderno con il forno elettrico e i normali fornelli a gas e in un angolo c’era appunto la ‘cucina economica’. Una stufa smaltata di bianco che si alimentava a legna e nella quale c’era un piccolo vano chiuso da uno sportello che era una sorta di forno ‘vintage’ – non saprei come descriverla meglio. Spumini, castagnaccio e altri dolci tradizionali si cuocevano lì perché mia nonna usava regolarmente il forno elettrico, ma lo riteneva del tutto inadeguato ad alcuni dolci che venivano bene solo se cotti lentamente al caldo nella stufa bianca. In certe giornate questa cucina immensa non era il massimo dell’ordine ed io abituata all’ordine impeccabile della cucina di mia mamma che era perfetta anche con due bambine arrampicate sulle sedie che pasticciavano con acqua e farina, la trovavo piuttosto strana. Ma poi una specie di bacchetta magica risistemava tutto e si tornava alla normalità.
Il castagnaccio di mia nonna era quello che si fa a Siena (e che in questo periodo si vende ‘al taglio’ in molte panetterie): farina di castagne impastata con acqua olio poco zucchero e un pizzico di sale, cotto in una larga teglia e alto due dita al massimo, non di più. La superficie viene cosparsa di una dose generosa di olio di oliva, pinoli e rosmarino. Io il castagnaccio non lo potevo soffrire e non lo mangiavo mai. Per me l’idea di un dolce che sembrava una deliziosa torta al cioccolato e aveva invece zero cioccolato, un retrogusto amarognolo nemmeno troppo nascosto ed era cosparso di rosmarino e unto di olio era assolutamente inaccettabile. L’ho riscoperto solo qualche anno fa, quando ho trovato questa versione molto più ‘gentile’ di Csaba della Zorza dove la farina viene impastata con il latte e si utilizzano degli stampini da muffin per renderlo più ‘dolcetto da tè’. La ricetta è la sua con minime correzioni mie: ho aggiunto un po’ di zucchero, non metto il rosmarino né l’uvetta (che è nella versione della Signora della Zorza ma non in quella che faceva mia nonna e poi io .. non sopporto l’uvetta!), non ungo la superficie con altro olio e metto le noci perché mi piacciono più dei pinoli. E’ un dolce dal gusto un po’ rustico e che preparato nello stampino da muffin resta piuttosto compatto e certo non soffice. Mio marito dice che sono più profumati che buoni, in effetti mentre cuociono il profumo di castagne è delizioso. Insomma deve piacere, se siete comunque curiosi e lo fate per la prima volta è meglio accompagnarlo con qualcosa di morbido: preparate una salsiera piena di crema inglese o una dose generosa di panna lievemente montata, appena appena zuccherata. 


PICCOLI CASTAGNACCI



Ingredienti (con questa dose ho ottenuto 10 castagnacci fatti nei classici stampini da muffin)

300 gr di farina di castagne
1 bicchiere di latte intero (circa 200 ml)
1 pizzico di sale
3 cucchiai di olio extra vergine di oliva (45 gr)
4 cucchiai di zucchero semolato (60 gr)
Qualche noce
Acqua minerale naturale (se necessaria)


Accendi il forno a 180 gradi.
Setaccia la farina in una ciotola, aggiungi il bicchiere di latte e comincia ad amalgamare con un cucchiaio di legno in modo da eliminare tutti i grumi e ottenere una pastella liscia.
Inserisci nell’impasto il sale, tutto lo zucchero e l’olio extra vergine di oliva.
Continua ad amalgamare aggiungendo se necessario una minima quantità di acqua minerale: devi ottenere una pastella liscia e morbida, fluida ma non liquida.
Versa il composto negli stampini da muffin senza riempirli fino in cima (non occorre imburrare né infarinare gli stampini, l’impasto non è di quelli che si attaccano).
Cospargi ogni dolcetto con qualche gheriglio di noce e fai cuocere in forno già caldo per 25 minuti circa (dipende un po’ dal forno).
Sono pronti quando la superficie comincia a creparsi e in cucina si spande un profumo di castagne molto piacevole.




EASY: colazione ricca della domenica: con il caffè accompagnati da un bel ciuffo di panna appena montata e violette candite.



CHIC: dividi ogni mini castagnaccio in 4 piccoli spicchi. Sistemali su un vassoio con meringhe e cioccolatini e servili con il caffè per una dopocena ‘ispirazione autunno’.
 



giovedì 6 novembre 2014

Vellutata di patate con cavolo rosso

Da qualche tempo il viola è uno dei miei colori preferiti, insieme al blu-azzurro che mi accompagna da sempre. Da quando – mi dicono – appena nata mi infagottarono in un golfino di lana celeste chiaro, troppo grande per me. La passione per il viola è molto più recente, qualche anno fa, forse. Adesso ho un portafoglio viola, un minuscolo ciondolo d’argento con dei piccoli cuori di smalto viola che non mi abbandona mai, sto meditando di acquistare una borsa viola – niente di eccentrico di tela leggera per la palestra – adoro una tovaglia di lino color prugna chiusa nel mio cassetto delle tovaglie dal quale esce solo in occasioni davvero speciali. Potrei andare ancora avanti con le mie ‘dotazioni viola’ che punteggiano qua e là stanze e armadi e arrivano fino a un paio di ombretti e uno smalto per unghie talmente viola che è impossibile da mettere, mi limito a guardarlo come un oggetto di design dal colore perfetto inserito lì, quasi per caso, sulla mia mensola dei trucchi.
Ammetto che quando qualche anno fa ho acquistato per la prima volta questo tipo di cavolo (non lo avevo mai assaggiato prima) l’ho fatto attratta dal suo colore viola. Lavatelo sotto l’acqua corrente all’interno di una porcellana perfettamente bianca e vedrete l’acqua tingersi di un raffinato azzurro pallido. Crudo non mi piace molto, anche se ogni tanto lo utilizzo affettato finissimo per ravvivare l’aspetto di un’insalata solo verde. Lo preferisco stufato in padella con zucchero di canna e aceto balsamico – tanto.
Qualche sera fa ero proprio stanca, sono arrivata a casa tardi, infreddolita e completamente bagnata – causa improvviso diluvio – con un unico desiderio: qualcosa di caldissimo. Le patate ci sono sempre in ogni casa, avevo nel frigo un porro e uno spicchio di questo bellissimo cavolo… la ricetta è venuta da sé, profumata, confortante e vellutata, con un tocco di quasi croccante – il cavolo – che non guasta. Naturalmente se questo cavolo non piace, si può sostituire con radicchio rosso, che dà lo stesso effetto di soup 'bicolor’  - perché soup in questo caso, non so perché, mi sembra più bello di zuppa.
Attenzione al dosaggio del brodo: il confine tra una zuppa cremosa e un purè troppo morbido è molto sottile.
Il brodo vegetale lo faccio con sedano, carota, cipolla, un pezzetto di porro e un piccolo pomodoro. In emergenza utilizzo un granulare bio senza glutammato né grassi idrogenati.


VELLUTATA DI PATATE CON CAVOLO ROSSO






Ingredienti per 4 persone (sulla dose del cavolo abbondare oppure no dipende molto dai gusti)

Per la crema:
600 gr di patate
2 porri
½ l di brodo vegetale
2 bicchieri di latte fresco intero (circa 230 gr)
Olio extravergine di oliva
Sale fino

Per guarnire:
Uno spicchio di cavolo rosso
Olio extravergine di oliva
Sale
1 cucchiaio da minestra di zucchero di canna
4 cucchiai da minestra di aceto balsamico
Pepe nero (se piace)


Lava il porro, elimina le foglie esterne e la parte verde e affettalo molto sottile.
Sbuccia e lava le patate e tagliale a cubotti.
In una pentola metti il porro affettato, due cucchiai di olio extravergine di oliva e un pizzico di sale. Lascia stufare a fiamma bassissima, fino a quando il porro risulta morbido (aggiungi se necessario qualche cucchiaio di acqua calda).
Aggiungi al porro le patate, lasciale insaporire per qualche minuto, girando spesso con un mestolo di legno in modo che non si attacchino.
Aggiungi il latte mescola rapidamente e unisci subito dopo il brodo.
Lascia cuocere a fiamma bassa per 35 / 40 minuti.
Nel frattempo prepara il cavolo che servirà per decorare la crema.
Elimina le foglie esterne più dure, lavalo e affettalo piuttosto sottile.
Fai scaldare in una larga padella (l’ideale sarebbe un wok) tre cucchiaio di olio extravergine di oliva.
Aggiungi il cavolo e fai cuocere a fiamma alta per qualche minuto.
Aggiungi il sale, lo zucchero di canna e l’aceto balsamico e lascia cuocere a fiamma bassa una decina di minuti (il grado di cottura del cavolo dipende molto dal gusto personale).
Trascorso il tempo di cottura della zuppa assaggia e aggiusta di sale se necessario, poi metti le patate in un frullatore e frulla aggiungendo poco alla volta il brodo, in modo da ottenere la consistenza desiderata.
Distribuisci la crema nei piatti, guarnisci con un po’ di cavolo stufato e servi caldissima (se piace con una lieve macinata di pepe nero, io non l’ho messo).



EASY: servila per una cena a buffet accompagnata da vassoi con fettine di pane di segale tostati e spalmati con una crema di formaggi (ad esempio robiola + caprino + erba cipollina), polpettine di ricotta rotolate in briciole di mandorle,  crostini di pane integrale tostati in padella con abbondante pepe nero, semi di zucca e di girasole tostati, naturalmente il cavolo rosso stufato servito a parte, in modo che ogni invitato possa condirla come preferisce.



CHIC: servita in mini ciotoline e cosparsa di cavolo rosso può diventare un antipasto caldo da servire all’inizio di una cena molto autunnale.